martedì 4 maggio 2010

Un gene per il supercampione

Il superatleta? E' in dirittura d' arrivo. Più alto, più veloce, più resistente. Doti che si affinano con l' allenamento, ma non solo: da tempo la scienza ha stabilito che alla base di un campione esiste un corredo di geni «della vittoria». Ognuno agisce in ambiti particolari: la loro presenza, maggiore rispetto al resto della popolazione o magari solo una variante rispetto al codice generalizzato, consente prestazioni superiori alla media. La scienza sta lavorando per creare il mosaico del supercampione: l' ultimo tassello, in ordine di tempo, è stato incastrato da una ricerca italiana, che ha scoperto un' interessante collegamento fra il recettore del gene dell' Interleuchina 1, la molecola responsabile dell' infiammazione dell' apparato muscolare in conseguenza di uno sforzo fisico, e la sua presenza in un individuo, sia maschile che femminile: circa il doppio in atleti di livello agonistico rispetto a individui «non atleti».

Ciò significa che un soggetto con un massiccio corredo di Interleuchina 1 ha una risposta infiammatoria più marcata nel suo apparato muscolare, ma contemporaneamente ha la possibilità di allenarsi più a lungo e più intensamente, potendo recuperare lo sforzo più velocemente rispetto a un normotipo. La ricerca, da poco pubblicata su «Bmc Medical Genetics», porta la firma dei ricercatori dell' Irccs Istituto ortopedico Galeazzi di Milano, in collaborazione con l' Università di Udine e con due team americani (Vanderbilt University e Tennessee University). Lo studio ha coinvolto 205 atleti (53 agonisti e 152 dilettanti) e 458 «non atleti». «Questo è il primo passo - dice Sabina Cauci, professore di biochimica clinica all' Università di Udine e docente al corso di Scienze motorie di Gemona - per studi più mirati a cogliere le differenze genetiche tra atleti di discipline di resistenza e atleti di discipline dove è richiesta la velocità». Un mosaico, si diceva, che si sta lentamente componendo: sono infatti una trentina i geni finora scoperti e collegati direttamente alla possibilità di miglioramento della prestazione sportiva. Influiscono su forza muscolare, resistenza, accelerazione e sull' incremento delle capacità cardiocircolatorie: in pratica, caratteristiche proprie della quasi totalità delle specialità sportive. La novità dell' Interleuchina 1, come spiega il professor Giuseppe Banfi, direttore scientifico dell' Irccs Galeazzi, «risiede nella peculiarità di rivolgere l' attenzione ai meccanismi di danno/riparazione che stanno alla base dell' allenamento e del recupero dallo sforzo».

Un versante considerato fondamentale nella «costruzione» di un atleta agonista: «Il recupero dopo uno sforzo è importante, perché consente allenamenti più intensi e lunghi. Ma è ovvio - precisa Banfi - che la predisposizione genetica da sola non basta: dipende anche da fattori ambientali e motivazionali». E' però vero che gli studi scientifici applicati allo sport hanno aperto strade oscure: da tempo le organizzazioni sportive mondiali hanno messo in guardia dal cosiddetto doping genetico e dal 2003 la World Antidoping Agency ha inserito la manipolazione dei geni tra i metodi proibiti. Ma fino a oggi, anche per la difficoltà a individuare le violazioni, non risultano casi di «Agm», ossia di atleti geneticamente modificati. «Modificare il gene in senso stretto - spiega ancora Banfi - è difficile e complesso: più plausibile un intervento sul recettore del gene, ossia sulla proteina che cattura e trasporta un farmaco nella cellula, determinando un cambiamento». Quindi non avremo a breve atleti Frankestein costruiti in laboratorio grazie a sofisticate tecniche di mutazione genetica. «Però - aggiunge la dottoressa Cauci - lo studio dei "geni sportivi" potrebbe essere di aiuto in molti campi: penso alle strategie di recupero in caso di infortuni. Ma anche, perché no, al raffinamento delle scelte di un allenatore, il quale, sfruttando le conoscenze che derivano dal patrimonio genetico, potrebbe adottare preparazioni specifiche per indirizzare e migliorare la prestazione dei propri atleti».

Claudio Colombo, Il Corriere della Sera

I geni direttamente interessati nelle prestazioni sportive:
IGF-1 (fattore di crescita insulino simile): sviluppa la crescita e, in dosi abbondanti, l'altezza;
Eritropoietina: aumenta il numero dei globuli rossi che consentono il trasporto di più ossigeno, per migliori prestazioni a livello cardiovascolare;
Gene ACTN3: produce una proteina che agisce sulle fibre muscolari, per un miglioramento della velocità e della capacità di accelerazione;
Enzima PEPCK-C: potenzia l'erogazione di energia muscolare;
Miostatina: influenza in maniera inversamente proporzionale l'accrescimento della massa e della potenza muscolare: minore quantità dell'ormone, maggior volume dei muscoli;
Variante del recettore del gene BDKBR2: collegata al miglioramento dell'abilità di corsa prolungata, agisce sull'efficienza della contrazione muscolare.

Per rimanere nel campo della ricerca genetica, è di questi giorni la scoperta che, anche da "anziano", il nostro cervello potrebbe "rinverdirsi"' di nuovi neuroni. Uno studio condotto presso il Max Planck Institute of Immunobiology di Friburgo, e pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, ha infatti dimostrato (almeno nei topi in età anziana...) che il cervello conserva nell'ippocampo un "tesoro" di cellule staminali potenzialmente utili a scopo rigenerativo. Queste cellule sono per lo più in letargo, ma possono essere risvegliate con stimoli esterni: ad esempio la ginnastica (ma anche le crisi epilettiche). Si riteneva che questo patrimonio si esaurisse con l'avanzare dell'età, mentre adesso i ricercatori tedeschi hanno trovato due popolazioni di staminali in parte in letargo, in parte attive.

G.B


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