“Un miscuglio d’ingenuità e impostura, genio e ciarlataneria, misticismo e sregolatezza”: ecco la descrizione di chi fu Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, dalle pagine della biografia di Roberto Gervaso dedicata al più famoso mago del Settecento.
Apologie, memoriali d’accusa e documenti storici dell’epoca raccontano tutti di quest’imbroglione palermitano che fin da ragazzo si servì dei suoi talenti di falsario, e diede libero sfogo all’immaginazione sospinto dal bisogno di una promozione sociale altrimenti irraggiungibile.
Mitomane ed esaltato, Balsamo visse con la moglie Lorenza una vita irrequieta e vagabonda, fatta di improvvisi splendori, di fantasiosi ripieghi e di lunghe miserie. Taumaturgo, medium e negromante, uomo di punta della Massoneria (conte di Cagliostro), divenne per dieci anni l’idolo di mezza Europa, finché cadde vittima dei suoi stessi inganni e fu travolto dalla folle sfida lanciata alla Chiesa cattolica fondando proprio a Roma una nuova Loggia di rito egiziano.
Di qui il processo, su denuncia della stessa moglie scellerata, e la condanna a morte su ordine della Santa Inquisizione il 7 aprile del 1791. Arrestato il 27 dicembre 1789, fu imprigionato a Castel Sant’Angelo e già il 30 dicembre la causa venne deferita al Sant’Uffizio che, dopo quarantatré interrogatori, si pronunciò in questi termini bizzarri, nella volontà di colpire e offendere: “Uomo che nulla crede, senza religione, insomma una bestia, vituperoso e assai cattivo, tenuto in concetto di birbo, di ciarlatano furioso e bestiale, briccone, entusiasta, deista, diffamantissimo”.
Ma ebbe scampo. Dopo aver pronunciato l’abiura d’eretico a Castel Sant’Angelo, il pontefice Pio VI per grazia speciale gli commutò la pena in ergastolo, ordinando un suo trasferimento nel lontano carcere di massima sicurezza di San Leo, in Emilia Romagna. Lì venne lasciato nel più completo isolamento, fino alla morte, obbligato a guardare dalle grate della sua cella soltanto luoghi consacrati.
Francesca d'Ottavio