Sabato mattina (il 24 aprile) scorso una donna s'è recata presso l’ospedale “Nicola Giannettasio” di Rossano, in Calabria, al fine di sottoporsi ad un intervento, già concordato, per interrompere la propria (prima) gravidanza alla ventiduesima settimana di gestazione. Un aborto terapeutico, richiesto dalla madre per via d'una grave malformazione del proprio nascituro. Praticato l'intervento, il corpicino (pare un maschietto) è stato riposto in un locale nei pressi della sala parto. Da quel momento nessuno se ne sarebbe curato.
Ieri mattina, a distanza d’un giorno dunque, don Antonio Martello, il cappellano dell'ospedale, s’è recato in quel locale per pregare su quel feto abortito volontariamente. Ma una volta avvicinatosi al corpicino con stupore ha scoperto che la creatura era ancora in vita. Da qui l'allarme. Il piccolo è stato immediatamente trasferito nel reparto di Neonatologia dell'ospedale dell'"Annunziata" di Cosenza, dov'è rimasto in vita fino a poco fa, dopo che i medici hanno tentato il tutto e per tutto pur di strapparlo alla morte. Un caso singolare e dai contorni agghiaccianti. La Legge n. 194 del 1978 prevede l'assistenza e l'intervento dei sanitari nel caso in cui, a seguito d’un aborto, il feto presenti attività vitali. Ma sulla creatura partorita - e viva – sabato mattina, non sarebbe stato effettuato alcun tipo di monitoraggio. La gestante aveva deciso di interrompere la propria gravidanza, che in casi di malattie genetiche o malformazioni può avvenire, per come prevede la legge, “dopo i primi novanta giorni di gestazione se la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”, oppure “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
In casi del genere, quando cioè una donna decide d’interrompere la gravidanza in presenza d’una diagnosi che dà poche speranze al nascituro mettendo a repentaglio la vita della stessa madre, praticato l’aborto tearapeutico la creatura è destinata a spegnersi a poche ore di distanza dall'intervento se non contestualmente. Ma in questo caso il destino ha voluto diversamente. Dopo essere stato "espulso" e lasciato in quel locale nei pressi della sala parto, nessuno, a quanto pare, avrebbe monitorato quell’effettivo decesso che non era affatto avvenuto.
E ieri mattina il cappellano dell'ospedale che voleva pregare per quel feto dopo aver appreso la notizia dell'aborto ha invece constatato che quel bimbo era in vita. Il piccolo è rimasto aggrappato alla vita fino a poco fa: le speranze per lui erano pochissime, con un quadro clinico critico tanto perché nato prematuro quanto per la presenza della grave malformazione che fu alla base della drammatica volontà della madre. Sul caso indagano i poliziotti del Commissariato di Rossano, che nell’immediatezza hanno acquisito la cartella clinica relativa all'intervento d’interruzione della gravidanza e proceduto a convocare le persone informate sui fatti, a partire dal personale medico coinvolto, al fine di asoltarle. Prima di inviare l’informativa alla Procura che - appare scontato - sul caso dovrebbe dare avvio all’apertura d’un fascicolo d’inchiesta.
Dal sito "Sibarinet.it"
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