L’incredibile morte di Gianluca «Zendark» Cimminiello è una storia in cui si mischiano la moda dei tatuaggi e la gelosia fra tatuatori, l’ingenuità di una foto con il calciatore più amato dai napoletani e Facebook. Tutte cose che non c’entrano niente con un omicidio, eppure questa è la storia di un omicidio. Perché è comunque una storia che racconta di quella Napoli in cui la vita di una persona non vale niente, e quella di Gianluca, che aveva 31 anni, doveva essere stroncata perché lui si era rifiutato di farsi picchiare, aveva reagito e picchiato a sua volta. E allora non restava che ammazzarlo.
L’omicidio è del 2 febbraio scorso, e ieri i carabinieri hanno arrestatouno dei presunti autori, Vincenzo Russo, e ricostruito lo scenario che fa da sfondo all’intera vicenda. All’origine c’è una foto con Ezequiel Lavezzi che Gianluca Cimminiello si fa scattare una domenica di fine gennaio davanti all’ingresso degli spogliatoi del San Paolo. Il Pocho è infortunato, non ha giocato, e mentre aspetta i compagni accetta di posare con i tifosi. Quella foto Gianluca la mette su Facebook, ma solo dopo averla modificata, togliendo lo sfondo dello stadio e mettendoci quello del suo studio di tatuatore, lo «Zendark Tattoo», a Casavatore. Del resto Lavezzi lì ci sta benissimo, pieno com’è di tatuaggi è un ottimo testimonial. « Da quel momento Gianluca ha ricevuto svariati messaggi da parte dei clienti che chiedevano se avesse tatuato lui Lavezzi. Ma rispondeva sempre di no», ha raccontato la sua ragazza ai carabinieri durante le indagini.
Un giorno arriva anche il messaggio di un collega tatuatore, Vincenzo Donniacuo, chiamato nel suo giro «Enzo il Cubano», dal nome dello studio che gestisce a Melito. Donniacuo sembra geloso, teme che Gianluca abbia fatto amicizia con Lavezzi, che gli abbia fatto o possa fargli un tatuaggio, e diventare il tatuatore di un calciatore fa salire immediatamente le quotazioni tra gli appassionati. Il Cubano lo sa, tanto è vero che la prima foto che compare sul suo sito e sul suo profilo di Facebook lo ritrae con guanti, macchinetta e inchiostro all’opera su una gamba di Floro Flores, attaccante napoletano oggi all’Udinese.
Tra Enzo e Gianluca c’è uno scambio di messaggi non troppo amichevoli, finché il primo annuncia che passerà allo studio dell’altro «per parlare da vicino». Ma non ci andrà lui, ci manderà quattro amici di Secondigliano, di cui uno imparentato con un boss degli scissionisti, il clan vincente nella sanguinosa faida di qualche anno fa contro i Di Lauro. Il 30 gennaio i quattro si presentano allo Zendark, ma non per un chiarimento. Hanno deciso che Gianluca merita una paliata, però non hanno considerato che quel pezzo di ragazzo non è bravo solo a far tatuaggi, sa usare le mani anche in altro modo: conosce bene la difesa personale e non si impaurisce. Picchia uno dei quattro (proprio il parente del boss) e mette in fuga gli altri. Due giorni dopo si ripresentano, stavolta con le pistole. E lo ammazzano. Per punirlo di quella reazione, e in questo il Cubano non c’entra. Lui è indagato come mandante solo della fallita spedizione punitiva. Ma se non si fosse mai rivolto ai suoi amici di Secondigliano, Gianluca sarebbe ancora vivo.
Fulvio Bufi, Il Corriere della Sera
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